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    Helmet Story: Andrea Bertolini

    Maranello 12 maggio 2020

    Disegnare un casco è un processo che attinge alla personalità del pilota e unisce l’ispirazione all’ambizione, il sogno alla creatività. Nel caso di Andrea Bertolini, il disegno che accompagna il pilota di Sassuolo nasce da una folgorazione, quella legata al colore di una monoposto di Formula 1 e al casco indossato da un talentuoso quanto sfortunato pilota, Elio De Angelis.

    Il mio primo casco, e parliamo di tanti anni fa, era rosso con la bandiera a scacchi sulla calotta e lo usavo per le mie scorribande con il kart a pedali a casa”, inizia a raccontare Andrea, “Quando le cose si fecero serie ed i kart potevano contare sulla spinta del motore anziché delle mie gambe, adottai un casco bianco perché all’epoca non c’erano ancora i disegnatori professionali, o quantomeno non ne conoscevamo. Frequentando le piste di kart, cercavi di imparare ogni cosa, da come affrontare una curva a come personalizzare i caschi usando il nastro telato o quello isolante. Io, come molti altri piloti italiani, utilizzavamo i colori dell’Italia. Per il mio disegno mi ispirai a quello di Elio De Angelis, replicandolo nello schema di base, ma variandolo cromaticamente con il nostro tricolore”. Il casco del pilota di Shadow, Lotus e Brabham era uno dei più famosi all’epoca e pertanto erano numerosi i tentativi di imitazione. Nel processo che ha forgiato l’identità del disegno di Bertolini entrò in scena un altro elemento legato alla Formula 1: il colore, alquanto distintivo, delle Leyton House guidate, tra gli altri, anche da Ivan Capelli.

    Quando avevo circa tredici o quattordici anni”, continua il sassolese, “acquistai un casco nuovo e decisi di adottare un nuovo disegno che traeva ispirazione da quello di John Watson. Sulla base dei miei disegni e con il supporto di un mio amico che me lo verniciò, iniziò la vita del mio nuovo compagno di viaggio. A me piaceva da impazzire, ma piace tuttora, il verde acqua adottato dalle Leyton House in Formula 1. È una tinta davvero particolare anche se all’inizio aveva scatenato qualche ironia nel paddock, ma a me interessava poco il commento degli altri. Quel colore mi aveva rapito e rendeva il mio casco unico, diverso da quello degli altri piloti e per me era sufficiente”.

    Il processo che portò al disegno del casco vide Bertolini impegnato in prima persona nella fase creativa. “Mi mettevo a disegnare la calotta sulla carta e cercavo di immaginarmi com’era. Mi ispiravo ai caschi dei piloti più forti che giravano sui kart ma ne studiavo personalmente il disegno e facevo diverse prove per vedere quale fosse più riconoscibile, più aggressivo o, più semplicemente, più ‘mio’. Feci una variante del casco di Senna, anche se con il tricolore al posto delle cromie del Brasile, ma essendo Ayrton una leggenda, non mancavano i piloti che avevano avuto un’idea simile, dunque decisi di virare per una soluzione più originale. Ancora oggi faccio delle prove per vedere se e come evolvere lo schema. Il profilo laterale del mio casco è qualcosa che mi piace moltissimo e in molti casi, dopo aver studiato nuove soluzioni o evoluzioni, abbiamo fatto dei passi indietro mantenendo inalterate le sue caratteristiche distintive. Il mio disegno è cambiato molto poco, modificando piccoli dettagli. La modifica più importante avvenne con l’inversione dei colori ma per il resto lo schema è rimasto invariato”.

    Una linea, quella della tradizione, che continua anche con la versione 2020 del casco e, nell’ottica di riproporre elementi già presenti nei modelli delle scorse stagioni, porterà al ritorno della bandiera italiana in una posizione più visibile. “Quando dobbiamo definire il casco per la nuova stagione, decidiamo assieme al disegnatore alcune piccole varianti. Ad esempio, a volte mettiamo il tricolore, a volte mettiamo delle linee con i colori della bandiera. Quest’anno ci sarà un richiamo alla nazione nella parte alta della calotta. Nel retro del casco invece abbiamo aggiunto la nona coroncina, un piccolo segno che celebra i titoli che ho vinto in carriera”.

    Una carriera che ha visto il sassolese imporsi come uno tra i piloti gt più vincenti nella storia, grazie anche alla capacità di studiare e apprendere piccoli e grandi segreti da veri e propri maestri del volante, inclusi quelli forse meno noti ai non addetti ai lavori. “Quando correvo con il minikart, il mio eroe era Mike Wilson e quando avevo avuto modo di conoscerlo glielo avevo anche confessato: pensava che lo stessi prendendo in giro! Sono stato un privilegiato perché con gli anni ho avuto la fortuna di conoscere e lavorare assieme a piloti straordinari, uno su tutti Michael Schumacher. Devo ammettere però che non ho mai visto nessuno allo stesso livello di Mike. Probabilmente perché lo guardavo con gli occhi di un bambino ma per me era una vera e propria leggenda, un eroe. Mi aggrappavo alle reti per vederlo girare in pista a Parma. Da tutti ho cercato di prendere spunti ed idee, in pista e per il casco. Anni fa era molto diverso rispetto ad oggi. I piloti avevano una loro personalità distinta che si poteva cogliere immediatamente tanto in pista, quanto nei disegni dei loro caschi. Pensiamo a quello indossato da Elio o da Nelson Piquet o da John Watson. Era il loro casco, di nessun altro e chiunque li poteva riconoscere a colpo d’occhio. Oggi questa tendenza si è persa e i caschi sono molto simili tra loro”.

    Per Bertolini, il casco è un oggetto speciale. “Il casco è qualcosa di importante per me, perché oltre ad essere lo strumento con cui affronto le sfide in pista, mi rappresenta. Sono molto affezionato a tutti i miei caschi, che conservo gelosamente. Non ho fatto scambi con altri piloti, se non con Fernando Alonso, con cui mi lega una grande amicizia. Farò ancora un altro scambio ed avrà per me un valore speciale perché potrò arricchire la mia collezione con i caschi di Alessandro [Pier Guidi, N.d.R.], James [Calado, N.d.R.] e Daniel [Serra, N.d.R.]. Credo che assieme abbiano vinto una delle edizioni più competitive e difficili di sempre nella classe LMGTE Pro, grazie ad una prestazione perfetta, incredibile, dove ognuno ha offerto un contributo essenziale per il trionfo finale. Avendo vinto anche io questa gara leggendaria, so molto bene quanto sia difficile salire sul gradino più alto di quel podio. Così, quando avremo modo di tornare ad abbracciarci, effettueremo lo scambio”.

    Helmet story: Andrea Bertolini
    12 maggio, 2020